60GE2034 SGT Nocchiere di Bordo

Sextum
00giovedì 19 febbraio 2015 21:17

Il mio Servizio Militare è stato molto, ma molto meno drammatico di quello di Daniele e di quello di Massimo [SM=g27830] [SM=g27833] anzi direi che alla fine l’ho potuto considerare piacevole.

Il primo contatto con la naia l’ho avuto subito dopo aver raggiunto al maggiore età, nel lontano 1978, quando ricevetti una missiva dallo Stato con la quale mi si comunicava che, essendo io studente dell’Istituto Nautico e iscritto alle liste delle Gente di Mare (o come diavolo di chiamava) ero stato iscritto nelle liste dei coscritti della Marina Militare anziché di quelle dell’Esercito come avrebbe dovuto essere in base alla mia data di nascita.

Allora i giovani liguri se nati durante i primi otto dell’anno erano destinati all’esercito (e bersaglieri e Alpini, ovviamente, la facevano da padrone) mentre alla Marina erano destinati quelli nati negli ultimi 4 mesi... più quelli che avevano a che fare con il mare. Tutto sommato una cosa sensata.

La prima cosa che realizzai era che mi dovevo fare 6 mesi in più di militare. Ma tanto già lo sapevo da anni

Non ricordo esattamente quando feci la visita di leva. Ricordo solo di averla fatta presso la Capitaneria di Porto di Genova, di aver provato un senso di squallore assoluto e di essere stato dichiarato abile e arruolato nonostante fossi un fringuello mingherlino…. in pratica un bambino!
Ricordo anche che feci, immediatamente, domanda di rinvio per motivi di studio. Era la prassi.

Dopo la maturità nautica mi si era aperta la possibilità di fare domanda per Allievo Ufficiale di Complemento presso l’accademia Navale di Livorno ma allora (?) l’ambiente militare, e quello delle Accademie in particolare, era piuttosto lontano dalle mie idee sinistrorse quindi trassi la conclusione che non era cosa per me.
Non ho mai, però, preso in considerazione l’idea di sottrarmi ai miei doveri, in nessun modo, né con trucchi né con santi in paradiso che comunque non avevo.
Comunista sì, ma con alto senso dello Stato... già allora!

Come ho detto avevo fatto domanda di rinvio e quindi nessuno mi cercò più, ma proprio più, tanto che, nell’inverno del 1979 (questo lo ricordo) non riuscendo a trovare un’imbarco da Allievo Ufficiale (allora volevo navigare) sia perché non avevo nessuna conoscenza sia perché non militesente (così mi rispondevano) mi scocciai e una mattina andai in Capitaneria per chiedere lumi e mi fu risposto che se volevo partire dovevo fare domanda di anticipo altrimenti non si sapeva quanto sarebbe passato.
Bel rispetto per il cittadino al servizio dello stato.

La feci e mi accontentarono… non in fretta, ma mi accontentarono e mi arrivò la cartolina e, questo lo ricordo benissimo, la mattina del 2 maggio 1980 mi presentai alla Caserma Duca degli Abruzzi di La Spezia, allora chiamata MARICENTRO SPEZIA (il significato lo avrei imparato in seguito)

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Sextum
00giovedì 19 febbraio 2015 21:18
2 - Il CAR

Ero preparato al peggio, informato dai numerosi racconti degli amici più grandi di me che erano già partiti ma mi accorsi in pochi minuti che niente poteva prepararti a quel delirio... l’impatto fu tremendo così come tremenda fu la botta che diede il portone massiccio che si chiudeva dietro di me e un mio ex compagno di scuola delle elementari che avevo incontrato sul treno.

Ad essere sincero i ricordi delle prime ore sono confusi. Ricordo distintamente solo il momento del casermaggio, cioè quando ci vennero consegnate lenzuola, coperte e un set da bagno completo e quando fummo portati nella camerata assegnata.
Era un camerone gigantesco con 30 letti a castello a tre piani e una puzza tremenda. il tutto contornato da una ininterrotta fila di armadietti metallici immondi.
Dormire in basso, tra l’altro posto ambito, significava rischiare il soffocamento. Salii al terzo piano. Male che andava cadevo e tornavo a casa.

Altro shock furono i servizi igienici. Ricordo quei lavatoi lunghissimi (e questi li avrei anche ritrovati nei vecchi dormitori FS, negli anni successivi) le docce in comune, tipo spogliatoi sportivi, ma sopratutto i gabinetti con i cessi alla turca… senza porte!
Cazzo! Ma almeno uno schifo di porta! Già per me la turca è sempre stato un problema ma chi ce la faceva così con uno davanti che ti guarda?
Ma più dell'onor potè il digiuno e parafrasando avete sicuramente capito. Bastava andarci in piena notte e anche per il resto era meglio… anticipare.

I primi giorni, comunque, passarono tra visite mediche infinite, test psicologici e code, lunghe infinite code per la colazione, per mangiare, per telefonare, per le visite, per tutto.

Intanto ogni giorni qualcuno tornava a casa, chi per le infermità più disparate, chi, i più, per la classica esuberanza di leva (dopotutto eravamo i babyboomer)
Anche il miei ex compagno di elementari tornò a casa ma dopo qualche anno seppi che era un pregiudicato e in seguito passò a miglior vita per overdose e io cambiai idea sul suo ritorno a casa.

Fatto sta che al termine della scrematura rimasero solo gli arruolati, e io fra questi.
Venimmo vestiti e ci trasferirono di camerata e giù si incominciava a ragionare. Ala nuova, camerate con 10 letti a castello da 3 piani e servizi igienici civili. Io mi accaparrai il terzo piano in fondo vicino alla finestra.
Dopo la vestizione iniziò il servizio militare vero e proprio, con l’inquadramento, le marce eccetera ma niente di particolarmente vessante o pesante.
Nel frattempo si continuava con altre visite, tra le quali la famosa puntura nel petto, altri test ed esami vari.
Seppi, in quel periodo, che erano necessari per determinare la qualifica e la destinazione e io ne facevo anche di più perché ero diplomato e per di più al Nautico.
Incredibile… e io che credevo alla storiella che sotto le armi ai meccanici facessero fare i cuochi

Nonnismo in pratica non ce n’era anche perché, a parte i marinai lì in forza che di occupavano dell’arruolamento, eravamo tutte reclute più qualche marinaio che non si capiva bene cosa facesse. E li capii il significato del nome MARICENTRO che altro non era che un acronimo telegrafico di una caserma adibita a centro di raccolta.
Infatti quelli che non si capiva cosa facessero erano quelli sbarcati e in attesa di nuova destinazione, usciti dall’ospedale, in attesa di processo e via dicendo.
Per evitare problemi bastava lasciargli i posto in coda, dovunque tu fossi.
Passa pure tanto dove devo andare?

Un giorno mi dissero che la mia qualifica era Nocchiere di Bordo e quando mi informai sul significato delle qualifiche capii che con ogni probabilità la mia destinazione sarebbe stata una bella nave. D’altronde avevo fatto il Nautico ed ed ero Allievo Aspirante al comando delle Navi Mercantili. Che mi potevo aspettare?

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Sextum
00venerdì 20 febbraio 2015 16:25
3 - Il CAR parte 2°

Il CAR in Marina di addestramento militare aveva veramente poco.

Un po’ di marce dentro il cortile della caserma e tante guardie, alle camerate, ai cessi, a tutte le porte e una volta ci portarono a sparare.

Non ricordo quanti eravamo, non molti, forse solo la mia camerata o forse due, fatto sta che ci caricarono su un autobus e ci portarono al poligono di Massa.
Lì feci il mio primo incontro con le armi.
Sparai con il Garand (una specia di residuato bellico), con il FAL (fucile automatico leggero) arma in dotazione, in Marina, al San Marco e agli SDI (Servizio Difesa Istallazione... in pratica erano quelli che facevano solo guardie come la VAM in aeronautica) e con il MAB (Moschetto Automatico Beretta) l’arma che avremmo poi usato “abitualmente”
In realtà ci limitammo a sparare qualche colpo e qualche raffica, così tanto per vedere l'effetto che faceva. Niente di più.
Lanciammo anche un paio di bombe a mano da addestramento che facevano solo... folklore. Quello fu il gioco di guerra più intenso della mia vita militare.

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Dopo quell’esperienza mancava solo il giuramento e la destinazione che non ricordo in che sequenza si presentarono.

Del giuramento ricordo distintamente che fecero entrare i familiari con noi già inquadrati nel piazzale perché eravamo assolutamente incapaci di marciare a tempo mentre della destinazione finale ricordo un marinaio che mi avvicinò per dirmi, in anticipo, che avevo avuto culo e che sarei dato destinato all’Istituito Idrografico di Genova perché ero diplomatico al Nautico e servivo lì.
Pensavo che mi volesse prendere per il culo... invece aveva ragione.
Quando furono affissi gli elenchi, sembravano i quadri a a scuola, la mia destinazione fu, effettivamente, MARIDROGRAFICO GENOVA insieme ad altri 3, tutti genovesi.
Probabilmente era solo quello che batteva a macchina gli elenchi.

Sextum
00sabato 21 febbraio 2015 17:37
4 - L'arrivo all'Istituto Idrografico


Il trasferimento da La Spezia a Genova lo facemmo con um normalissimo treno trascinandoci quell'enorme borsone nero con la matricola scritta con la vernice bianca e uno zaino, sempre nero, che contenevano tutte il nostro vestiario militare. A Genova Principe trovammo due ad attenderci un marinaio e un sottufficale e fuori dalla stazione una camioncino per un trasferimento di poco meno di un km. Era fine maggio o i primi di giuno, non ricordo bene.

L'Istituto Idrografico era, ed è tuttora, ospitato nell'ottocentesco forte San Giogio che sovrasta proprio la zona di Principe e la stazione marittima. La struttura è molto bella, con all'inteno un parco e diverse palazzine tra le quali anche le villette degli ufficiali quindi l'impatto non fu traumatico, anzi.
Ma le cose cambiarono quando ci portarono nella palazzina "arroccata" a fianco dell'ingresso principale che ospitava la nostra casermetta.
Lì era tutto un pò arrangiato, dalla mensa alla camerata, una con un'appendice appartata per i nonni e i sergenti, agli spazi comuni ma capimmo subito come giravano le cose quando ci diedero le nostre lenzuola e coperte e uno stipetto personale ma non il letto. (?) A dormire si doveva andare a casa e avevamo già il nostro permessino di pernotto fisso pronto e firmato dal comandante.

Non era un'agevolazione, ma quasi un obbligo, per il semplice fatto che non c'erano i letti per tutti, e nemmeno il mangiare e via dicendo ma anche questo, il come e il perchè, lo avrei scoperto in seguito.

In pratica si andava a casa all'ora della libera uscita, non ricordo bene l'ora ma intorno alle 13 e si rientava la mattina dopo alle 6.30, tutti tranne chi era in servizio di guardia e gli unici a dormire dentro erano questi ultimi e i pochi non genovesi o liguri, che c'erano ma erano proprio pochi pochi.

Comunque sia quella prima sera mi presentai a casa tra lo stupore di tutti e la mattina dopo intorno alle 5 ripartii per tornarei in caserma e avrei fatto così, quasi tutti i giorni, per parecchi mesi ma ancora non lo sapevo.

La mattina dopo feci la conoscenza con gli altri marinai, una ventina, ma senza nessuna vessazione, perchè erano tutti mezzi addormentati e scoglionati, e con un Capo (una specie di Sergente Maggiore che in Marina si chiama così) che si occupava dei marinai, delle pulizie e della manutenzione della struttura. Si chiamava Farina ed era il classico meridionale piccolino, con i baffi, diventato militare per lavoro. Urlava tanto, tanto, sempre, ma si capiva che era un brav'uomo. Dopo un pò arrivò il suo superiore, Capo anche lui, ma di prima classe (una specie di Maresciallo, non riesco a tradurre i gradi con quelli più famosi, anche perchè non è che io li conosca tanto bene). Questo era un omone grosso, anche lui meridionale, si chiamava Provenzano e questo era veramente bravo, ma sapeva farsi rispettare e tutti loro ripettavano anche gli ufficiali.

Questo ci prese da parte, noi quattro nuovi arrivati, e ci spiegò il funzionamento dell'Istituto, facendoci fare anche un giro turistico, e della Marina in generale e capii, anzi ce lo disse sfacciatamente, che per me e un'altro (una specie di Doc dato che era un laureato in medicina finito tra la truppa come lo Sperone) il peggio sarebbe durato non più di due settimane, poi sarebbe stata tutta discesa, giusto il tempo di fare di nuovo tutta la manfrina del noviziato e attendere l'incarico. Incarico che il dottore già aveva, così come lo aveva anche un'altro che era autista.

In realtà il peggio durò ben di più di due settimane ma non fu poi così tremendo e migliorò giorno dopo giorno

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Sextum
00sabato 21 febbraio 2015 18:31
5 - il funzionamento dell'Istituto


Il funzionamento dell'Istituto, dove oltre ai marinai c'erano numerosi Ufficiali e sottuficiali e molti civili era, semplicemente geniale.

In pratica si usavano i marinai di leva per farli lavorare quasi gratis, visto che allora, nel 1980, la diaria, in Marina era 1000 lire al giorno, se a terra, 2000 se imbarcato. Più vitto e alloggio che però li non c'era ma nessuno se ne preoccupava, anzi.

La giornata, subito dopo il rientro dalla franchigia intorno alle 6.30, iniziava con l'appello e il posto di lavaggio. In pratica ad ogni marinaio aveva una parte da pulire, e per una parte intendo una parte di tutta la struttura, dalla casermetta marinai per arrivare alla direzione passando per tutte le strutture interne. E anche a me ne venne subito assegnato uno, vacante. Con una ramazza da spazzino dovevo pulire una parte del viale e alcune la piazzette tra cui quelle antistanti le villette dei comandanti che vivevano li dentro con le famiglie. Per questo compito avevo un socio già pratico.

Finito il posto di lavaggio ognuno andava al suo incarico per svolgere quello che era, in pratica un lavoro, fino all'ora della franchigia per chi non era assegnato ad un servizio di guardia.
Io, come tutte le reclute, per i primi giorni fui assegnato alla cosidetta squadra lavori, una squadra alle dipendenze della già menzionata coppia di Capi composta da tutti quelli che non erano utilizzabili in maniera più proficua, e si occupavano della piccola manutenzione e della pulizia in generale.
Io restai con questa squadra di disadattati circa due settimane, mentre il dottore filò dritto in infermeria dopo un paio di giorni così come l'autista che andò a guidare. Giusto il tempo di farci fare il giro di presentazione con gli ufficiali.

Come ho già detto il pomeriggio si era tutti in franchigia (tranne il servizio di guardia) e tranne il venerdi quando la franchigia era intorno alle 17 - 17.30 non ricordo bene perchè c'era quello chiamato il Venerdì Sportivo che in pratica altro non era che un gigantesco posto di lavaggio che durava l'intero pomeriggio e il giorno deputato agli atti di nonnismo, peraltro veneramente blandi e puerili che si limitavano alla recita in mensa di qualche ridicola filastrocca per i congendanti a qualche scherzo e a tanti gavettoni, tanto più che era estate.

La domenica , invece, si rientrava per il posto di lavaggio un pò più tardi, non ricordo l'ora esatta, e a ranghi ridotti. In pratica dovevi fare doppio lavoro ma facevi solo quello e la franchigia era ben anticipata.

Durante la mia breve permanenza nella squadra lavori ebbi modo di conoscere un personaggio, prossimo al congedo, che apparentemente faceva il muratore, ma con la Ferrari, forse del padre non so, che usava a volte per venire in caserma. Venni a sapere da lui che il padre era un imprenditore edile e che lui, come molti altri li dentro era raccomandato. Il nome non lo ricordo con certezza ma il cognome si, e mi son ricordato di lui di recente: Mamone.
Cercate su Google e saprete

 photo Seal_of_the_Istituto_Idrografico_della_Marina.png
Sextum
00martedì 24 febbraio 2015 00:06
6 - Guardie e Gradi


Più complicato e più pesante il discorso guardie.
Da marinaio semplice e da sottocapo (un grado simile a quello di caporale che se eri diplomato di davano dopo 4 mesi altrimenti forse dopo un anno circa) facevi un servizio di guardia e due di franchigia, da sergente (da diplomati lo diventavi dopo 8 mesi) facevi un servizio di guardia e quattro di franchigia.

Quello dei gradi era la parte migliore del militare in Marina ma, allora, non sapevo ancora, quanto, in assenza di casini l'avanzamento era automatico anche se arrivava con un pò di ritardo, circa uno/due e se il primo dava diritto praticamente a niente (forse qualche lira in più ma non ricordo), la promozione a Sergente era epocale. Economicamente passavi da poche migliaia di lire al mese a 540.000 (e di questo ho buona memoria) ma sopratutto cambiava la tua vita militare... eri un sottufficiale (anche se di leva) e questo bastava.
Potevi andare a mangiare alla mensa sottoufficiali, dove ti servivano a tavolino ma pagavi una specie di obolo, facevi meno guardie e rientravi più tardi alla mattina perchè non facevi più il posto di lavaggio ma avevi solo il compito di controllare. Anche il venerdi pomeriggio non pulivi ma controllavi che lo facessero gli altri.

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Si faceva la guardia alla camerata durante tutte le 24ore e sopratutto all'armeria, questa solo la notte e all'aperto. Poi esisteva il servizio di corvee in cucina e guardie straordinarie.
La più ambita era la corvee in cucina. Lavavi uan montagna di pentole, tegami e piatti ma la mattina uscivi con il Capo Gamella e l'autista per la spesa quotidiana e alla sera, una volta riassettata la cucina potevi andartene a dormire o, se il sottufficiale di guardia te lo permetteva, anche a casa.
In più avevi sempre qualche omaggio sottoforma di barrette di cioccolata ecc...
La più pesante era invece la guardia all'armeria perchè la si faceva di notte, in esterno, armati e in un periodo in cui le BR avevano il vizietto di assaltarle.
Facevamo 2 ore si guardia e due di riposo, mi pare.
I servizi di guardia venivano fatti da un apposito ufficio, che si occupava di tutto ciò che concerneva la gestione dei militari di leva. Quando andavi in licenza dovevi trovare qualcuno che ti faceva il servizio di guardia che ti spettava e poi restituirglielo.

Per mia fortuna di guardie armate non ne ho fatte tantissime, anche se ne ho fatte abbastanza da togliermi la voglia e con una buona dose di paura mista ad incoscenza, ma d'altronde avevo vent'anni. Mi è comunque andata bene perchè le ho fatte in estate e autunno e prima dell'arrivo dell'inverno mi ero già trovato un posto al calduccio.
Questo perchè, essendo prevista la mia promozione a sergente, mi spettava un servizio di guardia inerente al grado e cioè la guardia da sottufficiale al cancello oppure quella al centralino telefonico. E io mi accaparrai un posto in quest'ultimo.

Quando facevi i servizi di guardia notturni eri esentato dal posto di lavaggio mattutino ma alle 8 dovevi essere comunque al tuo posto di lavoro.

La guardia al centralino, che altro non era che un servizio da centralinista, non era malvagia. Durante i giorni lavorativi montavi alle 13, dando il cambio al centralinista civile (che era un non-vedente ex militare), e smontavi alle 8 del mattino quando lui tornava al lavoro. Sabato, domenica e festivi stavi li 24 ore filate.
Era una stanza, piuttosto piccola, con tutte le apparecchiature, un tavolino e una brandina e te ne stavi chiuso lì dentro, da solo, per tutto il tempo.
Non era particolarmente faticoso perchè le telefonate durante la notte non erano molte tranne quando c'erano navi militari in porto, allora accadeva abbastanza spesso, che venivano allacciate alla rete telefonica militare oppure in caso di eventi particolari.

Una cosa divertente era lo scambio di giornalini (prevalentemente porno) e libri con i radiotelegrafisti.
Loro erano una sezione separata. Facevano solo quello e non facevano vita comune con gli altri marinai tranne il venerdi pomeriggio.
La loro stanza era situata proprio sotto il centralino ed entrambi eravamo chiusi dentro a chiave (per supposti problemi di segretezza) e ci passavamo la roba dalla finestra con un cesto e una corda come nei film dei bassa napolatani.

Feci quel servizio per tutto l'inverno e la primavera successiva.
Sextum
00mercoledì 25 febbraio 2015 14:06
7 - L'incarico


Non ricordo quanto restai in quella squadra lavori, farcita di disadattati, ma non più di un paio di settimane e, mentre mi aspettavo di essere destinato in qualche reparto che si occupava del core-businnes dell’Istituto, venni avvicinato da un giovane sottufficiale, simpaticissimo, dal cognome, vagamente francese, di Pernat.
Costui era il responsabile dell’ufficio che si occupava della gestione dei marinai di leva, delle guardie, delle licenze e via dicendo. Credo fosse quello che nell’esercito chiamavano comunemente fureria.

Come dicevo venni avvicinato da questo Capo che mi disse di essere venuto a sapere, dal mio fascicolo personale, che sapevo usare la macchina da scrivere.
Non che fossi un fulmine ma in effetti ma la cavavo abbastanza bene e a quanto pareva quella, nell’ambiente militare di allora, era una professionalità altamente ricercata.
Fatto sta che questo sottufficiale mi fece fare una prova e poi mi propose di andare a lavorare lì, visto che li liberava il posto di un congedante, e me ne vantò gli innumerevoli vantaggi. Io che non sapevo nemmeno se potevo rifiutare dissi che mi andava benissimo e così la mattina dopo dissi addio alla squadra disadattati e diventai un privilegiato. E in breve avrei scoperto quanto.

Venni poi a sapere che il sistema era più o meno quello, nel senso che ogni sottufficiale di carriera era responsabile di un reparto e ognuno di loro si cercava, tra i marinai di leva, i collaboratori. In pratica tutta l’attività militare era nelle loro mani.

In quanto a me mi ritrovai in quest’ufficio, insieme ad un sergente di leva e ad un altro marinaio comune (quest’ultimo super raccomandato) dove si disponeva di un discreto potere, non assoluto, ma sufficiente per metterti al riparo definitivamente da qualsiasi angheria o atto di nonnismo, atti che comunque erano, come ho già detto, veramente sporadici.
Per il Capo Pernat, che era un ficaccione sanremese in attesa di essere assunto al Casinò come croupier, la giornata si svolgeva tutta in funzione del modo di scappare da lì dentro il più presto possibile per prendere un treno e tornarsene a casa, cosa che, in virtù dei mille intrallazzi che aveva, gli riusciva sempre. L’ufficio era quindi praticamente nelle mani del Sergente e presto anche nelle mie. Bastava non fare casini.
In quell’ufficio di stilavano i turni di guardia, si assegnavano i posti di lavaggio, si accettavano o rifiutavano i cambi, si ricevevano le richieste di licenza e le si portavano alla firma del comandante, si ricevevano le malattie e si disponevano i controlli, si facevano i conti della forza giornaliera... insomma tutte queste cose piuttosto importanti nella vita di un militare di leva. Non è che tu avessi il potere di strappare una richiesta di licenza o far fare ad uno più guardie del dovuto ma il modo di truccare le carte c’era, eccome se c’era.

Infatti anch’io, nonostante fossi in quell’ufficio, mi dovetti fare le mie guardie armate, le peggiori, per qualche mese ma potete ben immaginare che a me nessuno mi rifiutava un cambio. E se capitava qualche servizio straordinario, magari un qualcosa di particolarmente ambito, la richiesta sarebbe passata da quell’ufficio ed era semplice accaparrarselo o darlo a uno piuttosto che ad un’altro.
In quelle condizioni che avrebbe osato romperti i coglioni?
E non solo nessuno ti rompeva ma c'era addirittura la corsa a diventarti amico.

In pratica, a nemmeno un mese dal mio arrivo, ero già molto ben piazzato e iniziavo a prendere coscienza e fiducia nella mie capacità, doti in cui ero, fino ad allora, piuttosto carente.
Sextum
00lunedì 2 marzo 2015 05:33
8 - La Forza e i gradi da Sergente

Passai quasi un'anno in quell'ufficio, ed ebbi modo di capire come funzionava tutta la faccenda che, a quanto pare dal racconto del Doc, era comune a molte caserme.
Tra i molti compiti del mio ufficio c'era anche il calcolo della "forza" giornaliera che altro non era il numero dei militari di leva presenti con diritto al pasto e a tutti gli accessori in base al quale la caserma presentava il conto allo Stato.
Non ricordo assolutamente in quanti fossimo e nemmeno a quanto ammontasse il contributo giornaliero ma il risultato era comunque una bella cifra che rimaneva quasi interamente nelle tasche di qualcuno dato che in caserma ci restava solo il personale di guardia.... e questo tutti i santi giorni.

In pratica il sottufficiale addetto al vettovagliamento, ricordo che si chiamava "Capo Gamella", passava tutti i giorni a prendersi i dati della Forza (che erano accuratamente registrati sul un librone), per poi battere cassa e andare a fare la spesa per tutti i marinai.
Peccato che poi a mangiare non ci fosse quasi nessuno e nemmeno a dormire e quindi avanzavano i soldi del cibo, della lavanderia, delle attrezzature... che chissà dove finivano.
Il Capo Gamella oltre ai dati della Forza effettiva voleva anche una copia dei turni di guardia e dei franchi (cioè coloro che alle 13 avrebbero potuto uscire) per tarare le esigenze effettive e fare così una bella cresta.
Ma non era sicuramente il personale di leva a lamentarsi. All'ora della franchigia schizzavamo tutti fuori come proiettili.

C'era qualche caso di qualcuno che a volte non andava a casa, magari quelli un pò più distanti, o qualcuno che rientrava la sera, ma erano casi sporadici.
Qualche volta lo feci anch'io. Se mi trovavo in giro con gli amici in centro a Genova magari invece di andare a dormire a casa e alzarmi alle 5 rientravo in caserma di sera tardi per poter dormire un pò di più.


I gradi mi arrivarono, come per tutti, un pò in ritardo, intorno al 10° mese e, come ho già detto, la mia vita militare fece un salto di qualità. Basta posti di lavaggio, rientro al mattino più tardi, soldi in tasca (540 mila lire al mese), il rispetto dei sottufficiali di carriera, e il venerdi (l'unico giorno della settimana con franchigia al pomeriggio) si pranzava in mensa sottufficiali (pagando un obolo), in un altro mondo.
Anche le volte che ti fermavi a dormire in caserma avevi una piccola camerata dedicata.
In più, nel frattempo il Sergente del mio ufficio si era congedato e io avevo preso il suo posto.
Da Sergente, non ricordo se prima o dopo l'arrivo effettivo dei gradi, tornai al poligono di Massa, questa volta per sparare con la pistola, che era la mia nuova arma d'ordinanza per le eventuali guardie al cancello che io non avrei, comuqnue, mai fatto.

La mia vita militare aveva preso la strada giusta. Con l'arrivo dell'autunno avevo dato l'addio alle guardie armate per rintanarmi nel tepore del centralino e la vita di segreteria scorreva via tranquilla.
Vedevo i vecchi congedarsi e i nuovi arrivare, direttamente dal CAR o da altre destinazioni....


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Sextum
00lunedì 9 marzo 2015 13:27
9 - La voglia di cambiare


In primavera si iniziò a parlare della Spedizione.

Allora (dico allora perché non ho la minima idea se la cosa è continuata negli anni) l’Istituto Idrografico faceva due Spedizioni annuali, nel periodo estivo, una chiamata Geodetica e l'altra Idrografica (GeoSped e Idrosped).

La prima si occupava di mappare dei punti geodetici lungo le coste mentre la seconda si occupava, partendo dai punti geodetici conosciuti, di eseguire i rilievi fondali sotto costa. Entrambi i dati erano necessari per la realizzazione delle carte nautiche. Il famoso core-businnes dell'Istituto.

Dai marinai tornati dalla spedizione dell’anno precedente, che io avevo conosciuto al loro rientro in autunno in quanto quando io arrivai all’Istituto erano già partiti, ero venuto a sapere che era una bella esperienza, interessante, che si stava bene e si guadagnava anche qualche soldino. Perché non provarci, mi dissi.
E così iniziai un opera di raccomandazione personale presso gli Ufficiali proponendomi come membro.

Nel frattempo la mia vita militare continuava tranquilla. Ero stato promosso Sergente, avevo qualche soldo in tasca, tantissimi rispetto agli altri militari, facevo le mie guardie da centralinista, nessuno mi rompeva, e quando capitava (tanto tutto passava dal mio ufficio) mi sceglievo qualche bel servizio extra tanto per imboscarmi un po’ o solo per fare qualcosa di diverso.
Anch’io come Gianni feci qualche servizio di ronda, servizio molto ambito, che si risolveva in un tranquillo giro per i vicoli di Genova e qualche giro nelle discoteche e tante puntate nei cinema porno ed ebbi modo di andare a casa, per la consegna di un biglietto di invito ad una festa dell’Istituto, e conoscere di persona l’Ammiraglio Luigi Durand de la Penne, l’autore dell’affondamento della nave inglese Valiant nel porto egiziano di Alessandria durante la seconda guerra mondiale.
Insomma stavo bene, ero ben visto e avrei potuto vivacchiare tranquillo fino al congedo.

Ma io ormai mi ero messo in testa che volevo andare in spedizione e mi concentrai su quell’obiettivo. Farne parte non era tanto facile. I posti erano pochi e i pretendenti molti di più di quanto di potesse immaginare, tenendo conto che ci allontanava da casa, (ricordiamoci che lì eravamo quasi tutti genovesi o liguri di ponente) e di parecchio per giunta
A mio svantaggio c’era anche il fatto che durante l’inverno avevo lavorato bene e al Capo sanremese dispiaceva perdermi. Era un controsenso non essere accontentato per quello. Non era giusto. Mi giocai proprio quella carta e fu quella vincente.

Fui scelto come uno dei membri della Spedizione Idrografica destinazione Terracina e così, ai primi di maggio abbandonai il mio ufficio di segreteria e mi trasferii alla preparazione della missione.
Non ricordo in che giorno partimmo ma son certo che era la seconda metà di maggio del 1981… era passato poco più di un anno dalla mia entrata in Marina e poco meno di un anno dal mio arrivo all’Istituto.

Oltre ad essere stato accontentato ero anche in un’ottima posizione gerarchica, visto che il gruppo era composto da 7 marinai, un sergente (io) , un giovane Tenente e un civile.
Ero il più alto in grado tra il personale di leva e il secondo come anzianità. Più vecchio di me (due scaglioni prima, mi pare, perchè fu avvicendato durante la spedizione) c’era solo l’autista.
Sextum
00martedì 10 marzo 2015 19:02
10 - La Spedizione Idrografica 1981

Io e l’autista partimmo con una campagnola FIAT, la classica in dotazione alle Forze Armate in quel periodo, con tanto di rimorchietto al seguito.
Fu un viaggio avventuroso che ricordo benissimo.
Quella campagnola, alimentata a benzina, consumava uno sproposito ed eravamo sempre dal distributore. Facevamo il pieno senza pagare ma semplicemente consegnando una specie di carta carburanti e compilando dei buoni. Uscimmo dall’autostrada a Fabro, vicino ad Orvieto, e salimmo fino al sonnacchioso paese (ci sono tornato qualche anno fa durante un viaggio in Umbria proprio per ricordare quel giorno memorabile) per cercare qualcosa da mangiare.
Rimediammo un paio di panini in un vecchio negozio di alimentari, quelli di una volta, guardati con curiosità dai pochi abitanti.
Non era certo da tutti i giorni vedere una campagnola militare della Marina con due giovanissimi marinai in mimetica.
Eravamo in mimetica perché oltre alle divise classiche, che non indossammo quasi mai, eravamo stati dotati della più consona mimetica, più consona al lavoro che ci aspettava.
Ma usammo ben poco anche quella.

Giunti a Terracina, raggiungemmo la locale Capitaneria di Porto che ci avrebbe ospitato, e li trovammo gli altri marinai della nostra spedizione che erano arrivati con un paio di camion e tutto il nostro armamentario al seguito, dagli strumenti a noi necessari alle brande, perché ci portammo dietro pure quelle.

La convivenza con i marinai della Capitaneria fu piacevole. Non c’erano atti di nonnismo o sopruso né da parte nostra, né da parte loro. Si instaurò un buon rapporto. Anche loro erano pochi. Mangiavamo tutti insieme sia a mezzogiorno che alla sera anche se noi contribuivamo di tasca nostra alla spesa in quanto, essendo in missione, non avevamo diritto al pasto fornito dalla Marina perché percepivamo una specie di indennità di trasferta chiamata, appunto, “missione”.
Ricordo che nell’estate del 1981 io, tra lo stipendio da Sergente e la Missione, prendevo oltre un milione al mese. Per fare un raffronto basti pensare che nella primavera del 1983 il mio primo stipendio targato FS fu di 800 mila lire. Ed erano anni di forte inflazione.

Tornando alla Spedizione, noi di leva soggiornavamo in un ala della Capitaneria inutilizzata, dove avevamo anche allestito la sala per riportare i rilievi e il deposito degli strumenti. Inoltre avevamo in dotazione la campagnola che mi aveva portato lì e un motoscafo, una pilotina attrezzata, munita di ecoscandaglio, della nave oceanografica Ammiraglio Magnaghi.
Il tenente e il civile erano in albergo. Era pur sempre il servizio militare e l’ufficiale era pur sempre un militare di carriera ma il rapporto con lui fu ottimo.

Quella Spedizione fu, comunque, il mio terno al lotto.
Mangiavamo pesce che compravamo dai pescherecci per quattro soldi e oltretutto uno dei miei commilitoni lo conosceva e lo sapeva cucinare bene perché nella sua famiglia facevano, appunto, i pescatori. E poi mozzarelle di bufala e insalate con il tonno in quantità industriale.
E poi eravamo sempre in giro.

Anche il lavoro era, in parte, piacevole.
In pratica si dovevano piazzare due teodoliti (quegli strumenti che usano i geometri per le misurazioni topografiche) in due punti noti e poi fare i rilievi ogni tot minuti del motoscafo che andava avanti e indietro lungo la costa e rilevava, con lo scandaglio, nello stesso istante, la profondità del mare. Il tutto avveniva tenendoci in contatto radio.
Poi i dati venivano riportati sulle carte nautiche da aggiornare, e questa era la parte un po’ più noiosa, ma lo si faceva quando il tempo era brutto o il mare mosso.
Io ero addetto ad uno dei due teodoliti. Si stare lì ore e ore con l’occhio attaccato allo strumento ad inseguire una barca non era proprio il massimo ma lo si faceva al sole, in costume, e spesso anche in posti belli. Scogliere, pontili, terrazze. Una volta piazzammo lo strumento sulla terrazza di un lussuoso hotel nella zona del Circeo, in mezzo alle signore che prendevano il sole a bordo piscina e il direttore ci face persino portare da bere da un cameriere.


 photo SSA50113.jpg


Certo, quando si facevano i rilievi la giornata era infinita. Si stava in posizione dalla mattina presto, poco dopo l’alba, fino al tramonto e l’autista con un altro marinaio ci portavano lì anche da mangiare ma c’erano anche momenti di svago.
Ma quando il meteo era avverso e i dati raccolti erano stati tutti riportati, tutta la giornata, a volte più d’una, diventava uno svago.
E anche quando si andava in perlustrazione per decidere dove piazzarsi, e tutto ciò che era necessario fare di contorno, era in definitiva uno svago.
Girammo con la nostra campagnola tutta la zona da Sperlonga a Sabaudia.
Al Circeo, addirittura, ci lasciammo per qualche tempo il motoscafo nel porticciolo e a turno ci facemmo i turni di guardia, dormendoci dentro, per paura che ci fregassero gli strumenti.
Fare la guardia a un motoscafo, in un porticciolo d’elite, in piena estate, con un sacco di… bella gente, vi assicuro che non fu un sacrificio! Tanto che il tenente dovette fare il suo lavoro e stabilire i turni per non farci litigare. Una sera a testa tranne l’autista che si incazzò non poco.

Sextum
00mercoledì 11 marzo 2015 21:49
11 - Terracina e Anzio


In quel di Terracina restammo un paio di mesi abbondanti e in quel periodo effettuammo i rilievi della zona dalla zona a nord di Sperlonga a Sabaudia.
Come ho detto fu un bel periodo che con il servizio militare in senso classico aveva ben poco a che fare, anzi potrei dire quasi niente.
Basti pensare che spesso non usavamo nemmeno la divisa, né la mimetica né quella da lavoro della Marina e, quando la usavamo le variazioni sul tema erano talmente tante che sembravamo usciti da un film sul Vietnam. Anche i capelli non erano proprio da Marines. E il Tenente, che in fondo era poco più vecchio di noi, in quel contesto estivo aveva ben altro a cui pensare (a buon intenditor…)
Eravamo talmente scalcinati che una volta, con la campagnola fummo persino fermati da Carabinieri, non per qualche infrazione, ma per come eravamo conciati a bordo di un mezzo militare. Il Tenente, che era messo, più o meno, come noi, ebbe il suo bel da fare per far capire chi eravamo.
Nei giorni in cui non si poteva scandagliare e non avevamo altro da fare eravamo in perenne libera uscita. Era estate e a Terracina le cosa da fare, a vent’anni non mancavano di sicuro.
Avevamo persino a disposizione l’ingresso nello stabilimento balneare riservato alle famiglie Forze Armate, allora esistente, proprio sul bel lungomare di Terracina.

Una volta, con la scusa di fare degli inesistenti rilievi, andammo in gita turistica, con la campagnola, all’isola di Ponza, isola dove il traffico privato era già allora regolamentato. E, se non ricordo male, scroccammo anche il passaggio con il traghetto.

Anche in quel frangente, i soldi giravano in abbondanza. Oltre all’indennità di trasferta personale come spedizione avevamo un budget che ci veniva reintegrato, senza tanti controlli, a fronte dell’invio delle fatture e ricevute. Ovvio che facessimo fatturare praticamente tutto. L’unico problema erano i tempi, biblici. Gli assegni, anche i nostri, (noi pagavamo di tasca nostra anche il mangiare) arrivavano con il contagocce e in un’occasione restammo tutti completamente senza una lira.

Terminati i rilievi nella zona di Terracina venne il momento di spostarsi perché la zona di scandagliamento successiva era quella di Anzio-Nettuno.
La ricerca del sito logistico dove sistemarci era a carico nostro quindi dovemmo andare in avanscoperta alla ricerca di qualche sito militare che ci ospitasse. Non fu affatto facile.
Con la nostra campagnola facemmo diverse puntate nella zona. Provammo all’Ospedale Militare di Anzio, presso la Capitaneria di porto di Anzio e anche presso il Poligono dell’Esercito che si trova a Nettuno.
All’ospedale Militare e al Poligono ci presero per pazzi, anche forse a causa del nostro aspetto ben poco militaresco mentre quelli della Capitaneria, più che altro per spirito di Corpo e qualche ordine venuto dall’alto, si diedero da fare e ci misero a disposizione una (bellissima) palazzina, di proprietà della Marina, abbandonata sul lungomare di Anzio.

Bellissima, in realtà, lo diventò dopo il nostro intervento perchè quando andammo a vederla c'era da spaventarsi. Ma per noi era veramente l'ideale. Stanze a sufficenza per tutte le nostre esigenze, una cucina, e persino un cortile interno.
L'unico problema erano le condizioni... sporca e letteralmente invasa da topi e tanti, tanti, tanti, scarafaggi. Mai visti così tanti tutti insieme.
In una settimana di duro, e divertentissimo, lavoro, riuscimmo a sconfiggere gli abusivi e renderla splendida.

In questi giorni ho provato persino a cercarla con Google Earth ... e l'ho trovata!

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Sextum
00giovedì 12 marzo 2015 20:15
12 - Il congedo, mio malgrado


Fu proprio in quel periodo di trasferimento da Terracina ad Anzio che, dopo oltre due mesi di lontananza, feci una scappata a casa. Non per licenza, durante la Spedizione le licenze non erano previste e questo lo sapevamo prima di partire, ma per necessità contingenti. Si era guastato uno strumento e bisognava tornare a Genova a sostituirlo, velocemente, e il mezzo più veloce e sicuro era il corriere umano.
Non ricordo se venni su io perché ero il più anziano (nel frattempo l’autista era stato avvicendato per via del congedo imminente) il più alto in grado o cos’altro. Ma più che un viaggio fu un tour de force mostruoso con un velocissimo passaggio da casa di una notte.

Dal punto di vista organizzativo e lavorativo tra Anzio e Terracina non c’erano differenze quindi le giornate ebbero uno svolgimento simile. Lavoro duro o svago, più o meno completo, a seconda delle condizioni del mare.
Durante quel soggiorno, tardo estivo, ricordo particolarmente le incursioni che facemmo, dentro il Poligono dell’Esercito di Nettuno, in quel mondo militare chiuso, così profondamente diverso dal nostro, dove eravamo guardati con sospetto e fastidio, per niente celato, da tutta la linea gerarchica, dagli Ufficiali fino all’ultimo soldato semplice.
Quel poligono è ospitato (ho controllato ed esiste ancora) dentro una splendida pineta, lunga una decina di km. che è rimasta incontaminata dal cemento (perché da altro non so) proprio grazie alla servitù militare.
Lì dentro scorrazzammo per giorni, avanti e indietro sulle strade sterrate, con la nostra campagnola, per svolgere il nostro invidiabile e incomprensibile compito ed era inevitabile essere malvisti dai soldati di leva.
In quel frangente, però, dovemmo dare una bella ridimensionata alla chioma e usare la mimetica. Era il minimo.
Durante quelle incursioni ebbi anche la fortuna di visitare il sito archeologico di Torre Astura.

 photo torre_02.jpg



Ai primi di ottobre, mio malgrado, lasciai i miei commilitoni al loro destino (ne avevavano, comunque, più per poco) e me ne tornai a Genova per smaltire tutta la licenza ordinaria che mi era rimasta intonsa e per le visite del congedo. Ero rimasto così favorevolmente affascinato da quei mesi che pensai persino di raffermarmi per un anno per ripetere la Spedizione l’anno successivo. Tanto non avevo ancora un lavoro ed ero alle prese con i rifiuti della compagnie di navigazione e i concorsi tra cui quello che poi vinsi.

Andai anche a parlare con in Comandante Supremo ma lui, nonostante le mie ottime referenze interne, fu molto onesto e mi disse di non potermi assolutamente assicurare sulla permanenza, da raffermato, all’Istituto. Quindi non se ne fece niente.

La vita militare, quella vera non quella, decisamente originale, che mi era toccata in sorte, non faceva per me e mi congedai.
Congedo che avvenne il 31 ottobre 1981, dopo esattamente 1 anno 5 mesi e 29 giorni dalla partenza.

548 giorni che mi fecero sicuramente crescere… in tutti i sensi.
[SM=g27830]
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