Livio Berruti

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ugo.p
00mercoledì 5 dicembre 2007 01:47
Nel 1960 l'Italia non aveva vinto ancora nessuna medaglia nella velocita`. Ci pensa Livio Berruti ad infrangere il tabu`.
Ma chi era questo velocista dalla falcata elegante?
ugo.p
00mercoledì 5 dicembre 2007 01:49
Livio Berruti ( By Gianni Lucini)
Nel 1960 la televisione trasmette in diretta nelle case degli italiani le principali gare dell'Olimpiade di Roma. Il 3 settembre le strade delle città sono deserte. Tutta Italia è davanti al televisore per assistere, nella gara dei 200 metri, all'impresa di un occhialuto studente torinese che risponde al nome di Livio Berruti. In semifinale ha eguagliato il record del mondo facendo fermare i cronometri sul tempo di 20''5 dando l'impressione di aver volutamente rallentato la sua corsa negli ultimi metri e nelle due ore che precedono la disputa della finale si rilassa leggiucchiando il libro dell'esame di chimica e bevendo lunghe sorsate di acqua e limone. Sulla linea di partenza ci sono ben quattro primatisti mondiali, tutti con lo stesso tempo: il francese Seye, lo statunitense Carney, il polacco Foyk e Berruti. La prima partenza non è valida. Uno dei due atleti scattati in anticipo è proprio l'italiano. L'incidente, però, non riesce a scalfire la sua tranquillità. Allo sparo scatta potente e, dopo aver resistito alla rimonta di Carney, è primo eguagliando ancora il record mondiale di 20''5. Non perde la calma neppure dopo la conquista dell'oro olimpico e risponde educatamente in inglese alle domande dei giornalisti. A chi gli chiede qual'è il segreto della sua corsa, così fluida ed elegante risponde: «La robustezza delle mie caviglie, temprate in ore di pattinaggio e di tennis».
enea silvio
00mercoledì 5 dicembre 2007 16:46
Dopo le olimpiadi vinse altre gare importanti?
Bruno Cortona
00mercoledì 5 dicembre 2007 18:30
Re:
enea silvio, 2007/12/05 16:46:

Dopo le olimpiadi vinse altre gare importanti?


No, qualche campionato nazionale e basta

Il garfagnin fuggiasco
00mercoledì 5 dicembre 2007 18:38
Corrono cosi le gazzelle?


Carissimi amici del forum,

Ho letto con piacere l’intervento del caro ugo.p su Livio Berruti e con maggior piacere ancora ho rivisto il filmato della sua vittoriosa finale delle olimpiadi di Roma. Così, solo così, ho sempre immaginato la corsa della gazzella: lieve e carezzevole, naturale e sciolta. Elegante.
La forza di Berruti stava nella superiorità della sua curva. I duecentisti possenti rischiano di essere risucchiati troppo verso l’esterno e spesso dissipano immense energie nel resistere alla forza centrifuga. A volte, per controbilanciare tale spinta, commettono l’errore di piegarsi troppo verso l’interno, compromettendo l’equilibrio.
La curva di Berruti era, davvero, da manuale. Trovava apparentemente d’istinto (ma in realtà grazie ad ore di meticolosa e quasi certosina preparazione, da buon Lumbard) la posizione giusta e la giusta misura della progressione, né esplosiva né fiacca, ed era raro che il rettilineo lo vedesse nelle posizioni di rincalzo. I negri americani che affrontò a Roma, che correvano realmente d’istinto, furono scioccati da quell’esile colomba bianca che sembrava inventare traiettorie impensabili.
Ma più difficile della curva è l’uscita dalla curva stessa, quando il velocista deve aggiustare l’assetto e passare da una posizione di spinta controllata ad una di sprint puro. Qui, credo, la superiorità di Berruti, almeno per qualche stagione, era ancora più marcata. La naturalezza della sua progressione gli permetteva di superare il momento dello “strappo” senza apparenti danni, senza quello sbandamento che tanto ha penalizzato velocisti più possenti, che spingono troppo in curva e poi perdono preziosi instanti all’uscita. La corsa di Berruti era un unicum. Guardate la sua esecuzione nel rettilineo, dall’uscita dalla curva fino al traguardo: non c’è variazione di spinta, posizione, movimento. L’assetto ideale magistralmente trovato rimane costante. Sembra di guardare sempre lo stesso istante, ripetuto all’infinito.
Un mio amico, che in gioventù era un buon velocista (10”7 e 22”0 all’inizio degli anni sessanta) e da militare correva nella squadra delle Fiamme Gialle, ebbe diverse occasioni di correre gare d’allenamento con Berruti. Era uno spettacolo di compostezza. Il torace rimaneva sempre eretto ma non rigido. Le gote non si gonfiavano in penose espirazioni. Gli occhi non rotavano allucinati sotto lo sforzo. La testa non ciondolava né si gettava all’indietro. Le braccia roteavano leggere, senza sforzi artificiosi per tenerle parallele, assecondando, più che stimolando, la spinta delle leve inferiori. Persino il tuffo sulla linea finale, guardatelo ancora, è appena accennato, quasi un inchino signorile e riservato. Non c’è sforzo apparente in nessun movimento.

Ma la cosa che più mi piaceva di Berruti era la sua naturale semplicità. Compì un’impresa memorabile, primo bianco europeo a vincere una gara di velocità dopo decenni di dominio da parte dei negri statunitensi, come se avesse vinto una lotteria di quartiere, con il suo sacchetto di fagioli. Era un dilettante vero, non conosceva la dimensione inflazionata dei divi dello sport. “Ho avuto paura”, disse, quando la polizia dovette proteggerlo dalla folla. La sua natura riservata e forse timida non era preparata alle estasi di massa ed alla glorificazione. Fu questo che lo distrusse. L’improvvisa notorietà ne sfracellò l’equilibrio interno, lo riempì di dubbi e paure. Era uno studente libero e contento, si ritrovò al centro di aspettative e responsabilità troppo grandi per lui. Si perse per strada, non ritrovò mai più quella serenità interiore e spensierata goliardia di quel pomeriggio indimenticabile, all’olimpico, quando eguagliò per due volte, nel giro di poco meno di due ore, il primato mondiale. Mentre il mondo dell’atletica si avviava sempre più velocemente verso un professionismo dapprima mascherato, Berruti rimase schiacciato dall’improvvisa comprensione della dimensione della bestia da circo braccata dalla stampa. Gli atleti di oggi vi nascono e vi sono preparati. Alcuni, del resto, non aspirano ad altro. Lui non vi era preparato e, credo, non vi aspirava nemmeno. Trovò ancora la forza di giungere quinto nella finale delle olimpiadi di Tokio, quattro anni dopo, con un dignitoso 20”7. Ma era un 20”7 deprezzato dal poderoso sviluppo delle discipline atletiche negli anni sessanta (il record mondiale era già a 20”2, nel 1968 scese a 19”8).
Berruti era un piacere a veder correre. La sua signorile scioltezza rendeva una disciplina dominata dalla forza bruta più simile alla danza. Anni dopo, il russo Valery Borzov, ingiustamente tacciato di essere un “prodotto di laboratorio”, mostrò le stesse qualità: una naturale ed istintiva eleganza nella corsa che viene esaltata, anziché mortificata, dalla meticolosa preparazione.
È bello veder gli umani correre come gazzelle. Non è il nostro destino, né a questo siamo portati, come non siamo portati al volo naturale. Ma vedendo correre persone come Berruti, Borzov ed i grandi negri americani come Owen e Smith (quello del 1968) uno è portato a sognare davvero la savana. La brevissima stagione di Livio Berruti ci dice che anche un bianco, a volte, può trovare quel livello di naturalezza. A volte.




jules maigret
00mercoledì 5 dicembre 2007 18:52
Caro Garfagnin [SM=x875377]
sono io ad aver letto con piacere questo tuo pezzo di giornalismo in cui, ad una prosa che già avevo avuto modo di apprezzare in altri tuoi interventi, si unisce una competenza che mi piacerebbe trovare in quel guazzabuglio di pettegolezzi ed ignoranza che sono oramai i quotidiani sportivi nazionali.
[SM=x875377] Bravo e ora fammi andare a rimirare di nuovo il video di copertina, grazie a te saprò apprezzarlo adeguatamente
Lord Sinclair
00mercoledì 5 dicembre 2007 19:39
Re: Re:
Bruno Cortona, 2007/12/05 18:30:


No, qualche campionato nazionale e basta



credo sia giusto tener presente che le competizioni allora erano + rare.
Campionati mondiali e le varie Coppe Europa e del Mondo erano ancora lontane a venire. da un'olimpiade si passava ad un'altra e in 4 anni molte cose cambiano. come ha scritto il Garfagnin Fuggiasco, Berruti 4 anni dopo riuscì a piazzarsi quinto in finale a Tokyo. non era poca cosa [SM=x875434]

bibba
00martedì 11 dicembre 2007 20:41
splendida riflessione
Caro Garfagnin Fuggiasco, ottime considerazioni sulla bella discussione di Ugo.p.
C'è da aggiungere che l'uomo, schivo e molto sereno, seppe non far drammi della sua progressiva diminuzione competitiva, e, riferendomi all'exploit del 5° posto a Tokyo, ancora oggi è rarissimo che campioni olimpici riescano a confermarsi e i 200 metri confermano questa regola.

200 metres
Games Gold Silver Bronze
1900 Paris John Tewksbury (USA) Norman Pritchard (IND) Stanley Rowley (AUS)
1904 St. Louis Archie Hahn (USA) Nate Cartmell (USA) William Hogenson (USA)
1906 Athens not included in the Olympic program
1908 London Bobby Kerr (CAN) Robert Cloughen (USA) Nate Cartmell (USA)
1912 Stockholm Ralph Craig (USA) Don Lippincott (USA) William Applegarth (GBR)
1920 Antwerp Allen Woodring (USA) Charlie Paddock (USA) Harry Edward (GBR)
1924 Paris Jackson Scholz (USA) Charlie Paddock (USA) Eric Liddell (GBR)
1928 Amsterdam Percy Williams (CAN) Walter Rangeley (GBR) Helmut Körnig (GER)
1932 Los Angeles Eddie Tolan (USA) George Simpson (USA) Ralph Metcalfe (USA)
1936 Berlin Jesse Owens (USA) Mack Robinson (USA) Tinus Osendarp (NED)
1948 London Mel Patton (USA) Barney Ewell (USA) Lloyd LaBeach (PAN)
1952 Helsinki Andy Stanfield (USA) Thane Baker (USA) James Gathers (USA)
1956 Melbourne Bobby Joe Morrow (USA) Andy Stanfield (USA) Thane Baker (USA)
1960 Rome Livio Berruti (ITA) Lester Carney (USA) Abdoulaye Seye (FRA)
1964 Tokyo Henry Carr (USA) Paul Drayton (USA) Edwin Roberts (TRI)
1968 Mexico City Tommie Smith (USA) Peter Norman (AUS) John Carlos (USA)
1972 Munich Valeri Borzov (URS) Larry Black (USA) Pietro Mennea (ITA)
1976 Montreal Don Quarrie (JAM) Millard Hampton (USA) Dwayne Evans (USA)
1980 Moscow Pietro Mennea (ITA) Allan Wells (GBR) Don Quarrie (JAM)
1984 Los Angeles Carl Lewis (USA) Kirk Baptiste (USA) Thomas Jefferson (USA)
1988 Seoul Joe DeLoach (USA) Carl Lewis (USA) Robson da Silva (BRA)
1992 Barcelona Mike Marsh (USA) Frankie Fredericks (NAM) Michael Bates (USA)
1996 Atlanta Michael Johnson (USA) Frankie Fredericks (NAM) Ato Boldon (TRI)
2000 Sydney Konstantinos Kenteris (GRE) Darren Campbell (GBR) Ato Boldon (TRI)
2004 Athens Shawn Crawford (USA) Bernard Williams (USA) Justin Gatlin (USA)
2008 Beijing

(da Wikipedia english)

Come potete vedere solo 8 atleti sono stati capaci di risalire sul podio nei 200 metri in differenti edizioni ma mai uno è riuscito a a bissare l'oro!
Sono: Nate Carmell (ar 1904 br 1908); Charlie Paddock (ar 1924-28); Thane Baker (ar 1952 br 1956); Pietro Mennea (br 1972 oro 1980); Don Quarrie (oro 1976 br 1980); Carl Lewis (oro 1984 ar 1988); Frankie Fredericks (ar 1992-1996); Ato Bolton (br 1996-2000).

Pietro Mennea è il bissatore più longevo: 8 anni tra il bronzo di Monaco 1972 e il mitico oro di Mosca 1980 [SM=x875384]
ugo.p
00mercoledì 19 maggio 2010 09:47
TANTI AUGURI
Oggi Livio Berruti compie 71 anni
[SM=x875388] [SM=g28006] [SM=x875386]
bibba
00mercoledì 19 maggio 2010 12:02
Re: TANTI AUGURI
ugo.p, 19/05/2010 9.47:

Oggi Livio Berruti compie 71 anni
[SM=x875388] [SM=g28006] [SM=x875386]



Tantissimi auguri. Qualche tempo fa, nell'ambito delle mie attività cinematografico sportive ho avuto l'onore di conoscerLo: un signore elegante, gentile, schivo e sereno. Trasmette pace e lievità. Uno di quei personaggi di cui l'Italia dovrebbe andare orgogliosa, portandolo ad esempio per le nuove generazioni. ...sognare si può?
[SM=x875413]


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