Racconto: L'Assenza Del Fine

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Squarepusher
00martedì 10 agosto 2004 22:05
Il gelo avvolgeva le carni dello straniero, le sue parole erano ghiaccio, le lacrime come cristalli sulle gote pallide. Coperto da un fine manto di nevischio, attendeva innanzi al lago congelato. Non c’era calore, non c’era vita, solo un uomo e la sterilità delle superfici ghiacciate.
Attorno a lui, alberi invernali componevano una selva di cristallo, e appesi ai loro bianchi rami, uomini, bambini, donne... legati con vecchie corde di canapa, le loro gole recise, i corpi violati, straziati. Banchi di nebbia avvolgevano le carcasse, distorcendo le percezioni, confondendo la realtà. Volti sfuggenti, vaghe ombre vibravano debolmente tra le nubi, osservando con cinismo lo straniero.
Egli osservava, privo di volontà o sentimenti, quella che un tempo fu la sua gente.
I corpi pendevano dai rami simili a frutti acerbi, manichini candidi, ciò che porta l’Inverno. Labbra viola, occhi freddi, l’anima stessa paralizzata a temperatura zero assoluto. Da tempo il mendicante aveva imparato a vedere, a cogliere i segreti dell’Inverno, quando il tempo è fermo e le ombre urlano in silenzio la loro disperazione.
Era avvolto in drappi scuri che separavano il freddo dalle sue carni, tenendo il gelo all’esterno, imprigionando il vuoto polare all’interno.
Si alzò, baciando la superficie gelata del lago. Era l’unico tributo che potesse dare ai suoi cari, simulacri di vita intrappolati in questa realtà, schiavi del tempo e dell’infinità invernale.
La sua corporatura era snella e i lunghi capelli scendevano dal cappuccio come una cascata polare. Si voltò, verso la foresta morta. Mentre s’incamminava verso l’ignoto, oltrepassando il bosco, scrutava senza sentimento bambini morti giocare con slitte, madri disperate che tendevano le loro eteree mani per fermarlo, per chiedere aiuto. Ma non c’era voce, non c’era rumore.
Lo straniero si limitò ad osservare e andare per la sua strada. Non poteva fare niente per i suoi cari, per i suoi spettri.
Non aveva più lacrime. Il gelo le aveva portate via, tanto tempo fa.
Attraversò apparizioni che si accalcavano su di lui, fendendo forme senza materia, spiriti della sua infanzia. Sussurrò a sé, andando verso l’ignoto, parole vuote, fumose come nebbia.
“Sto solo cercando di sopravvivere.”
Nel suo cammino, giunse ad una radura, uno dei pochi punti di riferimento della desolazione infinita della selva. Gli alberi, come a formare una gabbia di vetro, si curvavano verso la radura, in modo da formare una cappa che ostacolava la fioca luce di un Sole spento.
Venti gelidi tagliavano la sua pelle, rasoi di gelo che annunciavano l’arrivo dell’oblio. Non aveva senso fuggire. Lo straniero, spossato dal cammino, si stese sul manto bianco della radura.
Incisa nelle sale vuote della sua mente, l’assenza del fine, nessun motivo per resistere.
Strisciando sulla neve, specchiandosi sulle pozzanghere gelate, lo straniero osservò per la prima volta, dopo anni, il suo volto. Sfuggente, diafano, etereo. La linea del viso sfumata, il capo segnato dalle escoriazioni della corona di spine.
Lo straniero iniziò a comprendere.
In lontananza, distinse chiaramente una figura titanica, tricipite, agitare convulsamente gigantesche ali primitive, causando venti gelidi che intorpidiscono e spaccano la pelle, che risucchiano ogni colore e ogni passione. Copriva il cielo con la sua infinita mole, era privo di volto. Il re di un regno decadente in cui non aveva freni o inibizioni. Aveva infiniti nomi, ma il gelo li aveva corrosi. Aveva uno scopo, un tempo, ma l’eternità gliel’aveva fatto dimenticare. Si agitava con disperazione, come un idolo decaduto, un bimbo solitario in lotta con il tempo per trovare un senso.
Lo straniero ricordò. Di questo infinito universo bianco, lui un tempo fu la luce e l’anima.
Le cicatrici sulle sue braccia e sul costato accennavano ad un passato ormai concluso.
Finalmente, dopo un’attesa secolare, abbracciò a torso nudo il gelo, la dimora che aveva dimenticato. In lui penetrò il vento polare, il ghiaccio gli diede forma, scolpendo le sue evanescenti carni. Sforzando un ghigno senza sentimento, lo straniero prese posto tra le anime silenti.

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