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Applicazioni cliniche dei farmaci immunosoppressori


(Maria Silvia Gagliostro e Alessandro Oteri. Dipartimento Clinico e Sperimentale di Medicina e Farmacologia dell’Università di Messina)

Premessa
Gli immunosoppressori sono farmaci usati per il controllo di gravi manifestazioni allergiche, malattie autoimmuni e malattie correlate ai trapianti. Alcuni farmaci presentano un effetto diffuso sul sistema immunitario, mentre altri agiscono su uno specifico bersaglio.
I farmaci ad azione aspecifica hanno una maggiore probabilità di causare effetti avversi, mentre l’efficacia dei farmaci specifici potrebbe risultare ridotta qualora la loro azione venisse bypassata da vie metaboliche alternative.
Spesso dunque, i protocolli terapeutici prevedono l’uso combinato di più farmaci allo scopo di minimizzare gli eventi avversi e di prevenire fenomeni di resistenza.
Nonostante i protocolli terapeutici siano essenziali per consentire una corretta valutazione del paziente, i medici dovrebbero essere in grado di adattare il trattamento basandosi sulla valutazione continua degli effetti del farmaco, sul decorso della malattia e sulla costituzione dei singoli pazienti (Box).
Anche se alcuni degli immunosoppressori attualmente disponibili in commercio sono stati sviluppati per un uso oncologico o per la gestione dei pazienti trapiantati, attualmente sono note più di 80 malattie autoimmuni e alcune condizioni allergiche comuni in cui è possibile utilizzare tali farmaci. Gli immunosoppressori possono essere classificati in glucocorticoidi, piccole molecole e proteine (1).

Glucocorticoidi
I glucocorticoidi rappresentano i farmaci immunosoppressori di elezione e possono essere utilizzati sia nella fase di induzione della terapia che in quella di mantenimento. Somministrati per via endovenosa e in dosi elevate (metilprednisolone 250-1000 mg/die per 1-3 giorni), i corticosteroidi evidenziano un effetto linfocitotossico, mentre a dosi più basse tali farmaci agiscono come immunosoppressori e antinfiammatori, limitando la produzione di citochine. Pertanto la dose e la durata del trattamento dovranno essere stabilite in funzione della patologia.
Alcune patologie, come ad esempio l’asma, rispondono a un breve trattamento che può essere interrotto anche bruscamente, mentre la maggior parte delle malattie reumatiche richiede una riduzione graduale della dose nell’arco di alcuni mesi. Infatti, una brusca sospensione del trattamento potrebbe causare non soltanto una ricomparsa della patologia ma anche ipoadrenocorticismo.
Inoltre, durante la fase di sospensione del trattamento, si possono verificare poliartralgie non specifiche e mialgie, che generalmente rispondono bene ad un piccolo incremento della dose, seguito da una nuova e più lenta riduzione della stessa.
I pazienti in terapia con corticosteroidi dovrebbero essere avvisati dei più comuni e precoci eventi avversi associati alla terapia, quali sudorazione, raucedine, alterazione del ritmo circadiano e aumento dell’appetito. Talvolta possono manifestarsi anche disturbi psichiatrici gravi come agitazione, aggressività e psicosi.
Effetti tardivi che si manifestano in seguito a terapie prolungate includono: morbo di Cushing, miopatia prossimale, ipertensione, iperlipidemia, diabete, cataratta, ulcera peptica, osteopenia e necrosi asettica delle ossa.

Piccole molecole
Le piccole molecole con attività immunsoppressiva includono inibitori della calcineurina, come la ciclosporina, e farmaci ad attività antiproliferativa, come il sirolimus.

Inibitori della calcineurina
Fin dalla loro immissione in commercio, gli inibitori della calcineurina sono stati ritenuti tra i principali artefici del successo di molti trapianti d’organo, in particolare del trapianto di rene. Bloccando la sintesi dell’interleuchina-2, tali farmaci prevengono l’attivazione dei linfociti T. Questo effetto giustifica il loro utilizzo anche nei casi di alterazioni dell’immunità cellulo-mediata. Gli inibitori della calcineurina giocano un ruolo essenziale nella prevenzione del rigetto cellulare acuto degli organi trapiantati, nella psoriasi e nella sindrome degenerativa del rene (sindrome nefrotica). Vengono utilizzati nella terapia di molte patologie autoimmuni ad esclusione dell’artrite reumatoide in cui rivestono un ruolo di minore importanza.
Sebbene gli inibitori della calcineurina siano utili a favorire la remissione delle malattie autoimmuni, la sospensione della terapia può causare la comparsa di recidive.
Generalmente, l’associazione di inibitori della calcineurina con micofenolato mofetile e prednisone evidenzia risultati migliori rispetto alla monoterapia.
Paradossalmente, il principale effetto avverso associato a questa classe di farmaci è la nefrotossicità. Inoltre, l’uso cronico può contribuire alla comparsa di insufficienza renale, sia nei pazienti trapiantati che in quelli sani. Essi inoltre possono causare l’aggravamento di varie condizioni, quali ipertensione e iperlipidemia, determinando un profilo cardiovascolare sfavorevole. Possono infine incrementare il rischio di diabete.

Micofenolato mofetile
Fin dalla sua immissione in commercio, il micofenolato mofetile ha ampiamente rimpiazzato l’azatioprina nella gestione del trapianto d’organo. Rispetto all’azatioprina, il micofenalato presenta il vantaggio di poter essere utilizzato contemporaneamente all’allopurinolo per la profilassi della gotta, senza richiedere una riduzione della dose.
Probabilmente, a causa della sua attività diretta contro i linfociti B (2), il micofenolato sembra essere particolarmente efficace nelle forme gravi di lupus eritematoso sistemico. Il micofenolato può essere inoltre considerato un farmaco risparmiatore di steroidi durante la fase di mantenimento nell’ambito di un discreto numero di patologie del sistema immunitario, in particolare nel caso delle vasculiti (3).
I principali eventi avversi associati al farmaco si manifestano a livello ematologico e gastrointestinale; a dosi elevate, un terzo dei pazienti manifesta diarrea. Di recente, è stata sviluppata una formulazione di micofenolato gastro-resistente allo scopo di ridurre gli effetti avversi gastrointestinali. Il monitoraggio terapeutico del farmaco è disponibile, ma non viene attuato.

Sirolimus ed Everolimus
Questi potenti farmaci antiproliferativi stanno raccogliendo sempre maggiori consensi nella gestione del trapianto renale in quanto rappresentano una strategia ideale per ridurre l’utilizzo di inibitori della calcineurina nei pazienti a basso rischio immunologico (4).
Tali farmaci sembrano essere associati ad un minor rischio di ipertensione e intolleranza al glucosio. Nonostante siano caratterizzati da una minore nefrotossicità rispetto agli inibitori della calcineurina, essi potrebbero potenziare la tossicità renale della ciclosporina e richiedono dunque un monitoraggio costante della funzionalità renale.
L’uso del sirolimus e dell’everolimus deve essere evitato nel periodo perioperatorio in quanto la loro somministrazione potrebbe causare un grave ritardo nella cicatrizzazione delle ferite.
Poiché tali farmaci sono dei potenti inibitori dell’iperplasia dell’intima delle arterie, gli stent medicati intra-arteriosi a base di sirolimus vengono oggi utilizzati per ridurre il tasso di restenosi. Tuttavia, essi possono causare un incremento dei livelli sierici di lipidi e colesterolo.
Il bilancio rischio/beneficio di una terapia continuativa con questi farmaci, nei pazienti che sviluppano un’iperlipidemia refrattaria al trattamento, andrebbe attentamente rivalutato.
Il monitoraggio terapeutico di tali farmaci è essenziale a causa del rischio di effetti tossici quali anemia, leucopenia e trombocitopenia.

Ciclofosfamide
La ciclofosfamide è un farmaco citotossico. Viene utilizzata come opzione terapeutica di scelta nel trattamento della granulomatosi di Wegener, ma può essere utile anche nel trattamento di altre vasculiti come poliangite microscopica e lupus eritematoso sistemico (5). Nell’ambito del trattamento di tale patologia, la somministrazione endovenosa pulsatile, effettuata con cadenza mensile, presenta la stessa efficacia dell’assunzione orale giornaliera, rispetto alla quale consente di ridurre la dose totale di farmaco somministrato.
La ciclofosfamide viene utilizzata anche nella terapia della sindrome nefrotica recidivante.
Dopo 6 settimane di trattamento, si può verificare una soppressione del midollo osseo associata a neutropenia, la quale può continuare per più di 6 mesi, ma anche soppressione dell’attività delle gonadi e infertilità in entrambi i sessi.

Metotrexato
Questo antimetabolita è utilizzato nel trattamento di alcune patologie autoimmuni quali psoriasi, artrite psoriasica, artrite reumatoide e morbo di Crohn. Analogamente ai DMARD (disease-modifying antirheumatic drug), l’uso del metotrexato in associazione a inibitori del TNF (Tumor Necrosis Factor) (infliximab o etanercept) o a leflunomide, ha mostrato di migliorare sensibilmente i sintomi dell’artrite reumatoide (6).

Proteine
Gli anticorpi monoclonali antilinfociti (antitimociti) sono stati utilizzati in Australia fin dal 1960. Più di recente, grazie alla tecnologia degli ibridomi è stata prodotta una pletora di anticorpi monoclonali diretti contro le molecole espresse dalle cellule effettrici del sistema immunitario.

Muronomab-CD3
Gli anticorpi come il muronomab-CD3, diretti contro i linfociti T, sono stati ampiamente usati per prevenire o trattare il rigetto acuto a seguito di trapianto d’organo. Il principale inconveniente associato alla somministrazione del farmaco è rappresentato dalla cosiddetta “tempesta di citochine”, che si manifesta già alla prima somministrazione e che può mettere in pericolo la vita del paziente a causa della comparsa di edema polmonare.

Basiliximab e daclizumab
Si tratta di anticorpi monoclonali diretti contro i recettori dell’interleuchina-2 (CD25). Tali farmaci vengono utilizzati come farmaci di induzione nella gestione del trapianto d’organo in quanto riducono in maniera significativa l’incidenza di rigetto acuto e determinano solo un lieve incremento della morbilità. Attualmente vengono scarsamente impiegati nel trattamento delle malattie autoimmuni.

Rituximab
Il rituximab è un anticorpo anti-linfociti B (anti-CD20), utilizzato per il trattamento del linfoma delle cellule-B. Recenti segnalazioni aneddotiche hanno evidenziato la sua efficacia nel trattamento di 29 differenti patologie autoimmuni (7).
Allo stato attuale sono in corso di svolgimento alcuni RCT finalizzati a valutare l’efficacia di tale farmaco nel trattamento di lupus eritematoso sistemico, artrite reumatoide, dermatomiosite, vasculite positiva agli anticorpi antineutrofili citoplasmatici (ANCA) e trapianto renale in pazienti altamente sensibilizzati.

Alemtuzumab
L’alemtuzumab è un nuovo anticorpo monoclonale diretto contro molecole di superficie (definite CD54), ampiamente distribuite su linfociti, macrofagi e cellule dendritiche. Il suo utilizzo determina una marcata e prolungata deplezione di queste linee cellulari. A causa di tale effetto il farmaco aumenta il rischio di gravi infezioni.
Allo stato attuale, il suo impiego è stato cautamente ampliato all’immunoprofilassi dei pazienti trapiantati e alle patologie autoimmuni (8).

Infliximab, adalimumab ed etanercept
Infliximab e adalimumab sono due anticorpi monoclonali diretti contro il TNF, mentre l’etanercept impedisce il legame del TNF al proprio recettore. Tali farmaci sono stati autorizzati per il trattamento dell’artrite reumatoide. Inoltre, vengono utilizzati nella spondilite anchilosante, nell’artrite psoriasica e nelle patologie infiammatorie dell’intestino (9).
Le reazioni al sito di infusione rappresentano eventi avversi molto comuni associati all’uso di questi farmaci.

Immunoglobuline
Le immunoglobuline per via endovenosa sono state introdotte in terapia allo scopo di ripristinare l’immunocompetenza in pazienti affetti da sindrome da immunodeficienza congenita o acquisita. Paradossalmente, la scoperta della loro capacità di inibire la produzione e il legame di auto- e allo- anticorpi ne potrebbe giustificare un più ampio utilizzo come farmaci immunomodulatori nel trattamento di malattie autoimmuni debilitanti e nel rigetto di allotrapianto anticorpo-mediato (10).
Dato che le immunoglobuline forniscono anche un’immunità passiva, è possibile ipotizzare un minor rischio di complicanze infettive associato al loro utilizzo rispetto a quello che si osserva con altri farmaci immunosoppressori. Inoltre, grazie a tale effetto, le immunoglobuline sono state utilizzate in diverse condizioni patologiche senza che vi fossero buone evidenze a supporto della loro efficacia. Per tale ragione, le linee guida dell’Australian National Blood Authority ne hanno ristretto l’impiego (11). Ciononostante, è possibile ipotizzare che il loro utilizzo continuerà ad accrescersi man mano che aumentano le conoscenze circa il loro meccanismo d’azione.

Gestione e monitoraggio dei pazienti in terapia con farmaci immunosoppressori
I pazienti in terapia con farmaci immunosoppressori necessitano di un controllo costante, che nasce di solito dalla collaborazione tra uno specialista e il medico di famiglia. La frequenza delle visite dipenderà dal livello di rischio percepito e da alcuni parametri che vanno monitorati regolarmente (Tabella 1).
Talvolta i pazienti potrebbero avere bisogno di una profilassi allo scopo di prevenire gli eventi avversi associati al trattamento (Tabella 2).
Oggi, il monitoraggio terapeutico è disponibile per un gran numero di farmaci tra cui ciclosporina, tacrolimus, sirolimus e micofenolato. Ciò permette di portare avanti una terapia dose-controllata. Tuttavia, per alcuni farmaci anche di uso più comune come i corticosteroidi, non esistono ancora delle buone misure di biodisponibilità individuale.

Tabella 1. Monitoraggio routinario dei pazienti trattati con farmaci immunosoppressori

Monitoraggio del sistema immunitario
Reattanti di fase acuta (proteina C reattiva, velocità di eritrosedimentazione)
Auto-anticorpi per specifiche patologie (anticorpi antineutrofili citoplasmatici, anticorpi anti-DNA a doppia elica)
Concentrazioni di immunoglobuline e complemento
Valutazione della funzionalità e dell’istologia dell’organo
Conta di neutrofili, linfociti e del sottoinsieme di linfociti B

Monitoraggio degli eventi avversi
Emoglobina, piastrine, lipidi, glucosio ematico
Pressione arteriosa
Sorveglianza per il cancro cutaneo, esame rettale, pap-test e se possibile antigene prostatico specifico
Densitometria ossea
Esame per la cataratta

Monitoraggio terapeutico del farmaco
Consente di rispettare i bersagli terapeutici
Delinea lo scarso assorbimento
Aiuta a valutare la compliance




Tabella 2. Trattamento profilattico comune in pazienti che assumono farmaci immunosoppressori

Profilassi delle infezioni
Una “forte” immunosoppressione può giustificare una profilassi nei confronti di citomegalovirus (valganciclovir), polmonite da Pneumocystis jiroveci (cotrimoxazolo) e candidosi (nistatina orale).
Vaccini per influenza e pneumococco.

Anticoagulanti
Le malattie autoimmuni sono frequentemente associate a trombofilia che comporta l’uso di farmaci antiaggreganti piastrinici o warfarin.

Rischio cardiovascolare e di diabete
Corticosteroidi, inibitori della calcineurina e inibitori del bersaglio della rapamicina hanno un diverso profilo di rischio cardiovascolare.
Viene spesso indicato l’uso di statine e farmaci antidiabetici.

Protezione ossea
Può essere necessario il ricorso a supplementi di calcio, vitamina D e bifosfonati.

Profilassi dell’ulcera
Considerare un trattamento con anti-H 2 e con inibitori di pompa protonica, specialmente nel caso di terapie a base di steroidi.


Rischio di infezioni
L’immunosoppressione incrementa la suscettibilità alle infezioni che nel giro di poche ore possono mettere in pericolo la vita del paziente.
All’inizio, vi può essere una predominanza di infezioni batteriche comuni a livello di ferite, torace o vie urinarie. Tuttavia, dopo uno o due mesi di terapia possono manifestarsi infezioni opportunistiche quali infezioni erpetiche, polmoniti da Pneumocystis, micosi e infezioni da micobatteri atipici.
Ai pazienti in terapia cronica con immunosoppressori, viene raccomandato di effettuare una vaccinazione antinfluenzale e antipneumococcica (12). Somministrati in una fase di mantenimento stabile, questi vaccini risultano sicuri e sufficientemente efficaci. In genere, i vaccini a virus vivo attenuato, come quello della varicella e del morbillo, non dovrebbero essere somministrati nei pazienti in terapia con farmaci immunosoppressori (o ai loro parenti stretti).

Rischio di cancro
Spesso, nei pazienti in terapia con farmaci immunosoppressori, l’insorgenza precoce di cancro è di origine virale. Le forme di cancro più diffuse sono i disordini linfoproliferativi e il cancro alla cervice uterina. A lungo termine, quasi tutte le forme più comuni di cancro (in particolare quello alla cute) risultano aumentate. Si calcola che dopo 20 anni di terapia immunosoppressiva a seguito di trapianto renale, l’80% dei pazienti manifesta cancro cutaneo.

Box. Scelta dei protocolli terapeutici

Al momento della scelta di un protocollo terapeutico, un medico dovrebbe tenere in considerazione le evidenze provenienti dai trial clinici e, successivamente, dovrebbe valutare alcune ipotesi:

Qual è l’obiettivo che si vuole perseguire: prevenire una risposta attesa (per esempio, il rigetto dopo trapianto di organo) o sopprimere una particolare reazione infiammatoria immuno-mediata (per esempio, glomerulonefrite acuta)?
Nel caso di una patologia del sistema immunitario, che entità dovrà avere l’immunosoppressione richiesta e per quanto tempo dovrà essere prolungata (valutazione del decorso della malattia)? In questo caso è necessario tenere in considerazione:
decorso naturale della patologia non trattata
se la patologia è multifasica (periarterite nodosa) o monofasica (poliangite microscopica)
estensione e gravità della malattia nel singolo paziente
coinvolgimento di altri organi oltre a quelli già noti
rischio di recidive
possibilità di effettuare un monitoraggio a lungo termine dei parametri associati alla malattia
Il paziente è in grado di sopportare il trattamento previsto (parametri relativi allo stato di virulenza del parassita)? In questo caso si dovrebbero considerare:
età (i pazienti più anziani rispondono meglio alla terapia immunosoppressiva ma sono più sensibili al rischio di infezioni)
rischio di infezioni
rischio di cancro
rischio di complicanze cardiovascolari/diabetiche
presenza di comorbidità
compliance del paziente e disponibilità per un eventuale follow-up

Nella scelta della dose e della durata del trattamento immunosoppressivo, è sempre necessario valutare il decorso della malattia in funzione dello stato di virulenza del parassita.


Bibliografia

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Link

Riattivazione dell'epatite B da anti-TNFalfa. Avviso del Ministero della Salute canadese (13 gennaio 2006)
Prevenire e gestire la tubercolosi che può insorgere in corso di terapia con farmaci anti-TNFα: infliximab, etanercept e adalimumab.
Etanercept ed effetti avversi nel corso dei trial clinici
Terapia con anti-TNFα. Raccomandazioni sulla prevenzione e sulla gestione dell’evento avverso tubercolosi. Agenzia Francese della Sicurezza Sanitaria dei Prodotti Medicinali (Afssaps, 25/07/2005)
CADRN. Infezioni gravi e tubercolosi da infliximab ed etanercept
Corticosteroidi e rischio di fibrillazione atriale.
Metotrexato orale: eventi avversi e prevenzione dell’overdose
Serie reazioni epatiche, ematologiche, cutanee e respiratorie da leflunomide
Metotrexato per il trattamento dell'artrite reumatoide in soggetti con leucopenia
Linfomi gravi osservati con infliximab associato ad azatioprina o 6-mercaptopurina

Da: www.farmacovigilanza.org
[Modificato da .tani. 10/08/2008 23:30]